Federica Sassaroli

la guerra delle donne

La guerra delle donne

Questo brano è ispirato ai racconti di un’amica sulla sua mamma novantenne, donna amabilmente vanitosa che a tutt’oggi, per restare in casa si lava, si veste e si trucca di tutto punto. Nota ai più come “Nostra Signora dell’Elnett”, pare che il suo uso smodato di lacca sia stato la causa di gran parte del buco dell’ozono.

Un modello di donna forse d’altri tempi che ha portato Massimo Brusasco a fare una riflessione su una surreale ipotesi…

 

C’è un modo per fare cessare le guerre: farle fare alle donne. Le donne-soldato che vanno in trincea, le donne che comandano gli eserciti, le donne che decidono le strategie, le donne che si riuniscono per stipulare i trattati. 

“A che ora ci vediamo per decidere cosa fare?”.  

“Mah… alle 13 passo a prendere Paolino alla materna, tempo di preparare il pranzo, farlo mangiare, metterlo a fare il pisolino. Facciamo per le 15?”.  

Poi, un’altra deve portare il figlio preadolescente a calcio, l’altra ha il nipote che deve far studiare che domani ha il compito in classe, per non parlare di quella che deve andare a fare la spesa… va be’ c’è il  marito…”ma comprasse una volta quello che c’è scritto sulla lista della  spesa”.  

Comunque, se si trova un accordo sull’ora, bisogna decidere il posto. Perché una non ha la macchina, l’altra non può fare tanta strada, poi c’è quell’altra che vuole che ci si trovi in un territorio neutro e allora propone l’outlet. Che va pure bene, perché all’outlet ci sono sempre le signore giapponesi, e quindi sono utili per la diplomazia internazionale. E sono utili pure se devi immortalare l’evento perché le donne giapponesi portano quasi sempre con loro la macchina  fotografica… 

Per mettersi d’accordo sul posto e sull’ora, passa già una giornata. Ed è una giornata in meno di guerra. Poi, quando si è d’accordo:  “Facciamo le 5!” 

E una arriva alle 5 e un quarto perché ha interiorizzato il quarto d’ora accademico dai tempi dell’università, un’altra alle 5 e mezza perché ha rotto i collant infilandoseli, l’altra alle 5.20 perché il bambino ha vomitato, l’altra non si presenta perché pensava, giustamente, alle 5 del mattino.  Insomma, trascorre un’altra ora. 

E poi, quando le signore della guerra sono attorno al tavolo per organizzare la battaglia, c’è sempre una che appoggia la borsetta appena acquistata sul tavolo.

“Ah, nuova? Bella”.  

“Già che sono passata all’outlet, sono andata da “The bridge” e l’ho presa.” 

“Quanto l’hai pagata?” 

“Non mi sono neanche accorta… sai… con la carta di credito… tric, trac… non sembra nemmeno di pagare”.  

Si fa strada una voce che richiama all’attenzione le due signore della Guerra.  

“Signore… anche io già che passavo dal retail sono andata dall’estetista”. E mostra lo smalto rosso sulle unghie delle mani e deve fare vedere che anche le unghie dei piedi sono rosse quindi e si toglie le scarpe. E allora un’altra dice che anche il suo smalto non è male, tendente al pervinca, e si toglie le scarpe pure lei. 

In attesa di sapere quale sia il loro destino, le capitane dell’esercito ingannano il tempo per aspettarsi l’un l’altra: c’è chi va ad una mostra di quadri, chi si dedica allo shopping, chi decide di andare a farsi una  lampada, per essere a posto quando gli inviati di tutto il mondo, soprattutto quelli della Cnn, andranno a fare le riprese e le interviste sui  luoghi del conflitto per i soliti reportage. 

Intanto, quando tutte le signore della guerra si sono finalmente riunite, si sono rimesse le scarpe e tutte hanno commentato il vestito di tutte e qualcuna ha detto che suo figlio ha preso 10 in matematica e l’altra ha risposto che matematica non serve a niente perché intanto ci sono le calcolatrici… un’altra ora sarà ben passata ed è un’altra ora con fucili che non sparano e razzi che non partono, città che non vengono distrutte e gente che non muore perché finché le cape non si mettono d’accordo, la guerra non si fa. 

Poi, mentre si è nella discussione, c’è quella che salta su chiedendo: “Chi vuole un caffè?”. E tutte: “Io… io… io”. E c’è chi lo vuole decaffeinato, chi amaro, chi con il dolcificante, chi con lo zucchero di canna, chi in tazza grande, chi lungo, chi ristretto, chi preferisce un tè… e allora c’è chi lo prende col latte e chi col limone. Non due che siano in sintonia. Donne. E la poveretta che ha fatto la domanda fatidica… ha pure ragione lei, bella stella, quando dice che non può ricordarsi tutto per fare l’ordinazione al bar. E allora, telefona al locale preferito, che non è mai il più vicino… Dopo i convenevoli col ragazzo del bar, si ricorda che deve ordinare… Finché il suo interlocutore si arrende e dice: “Vengo io: ditemi dove, e vengo io”. E allora, vagli a spiegare dove sono a fare questa riunione sulla guerra. “Prendi via Roma, la seconda a destra…”. “Ma no, a sinistra, dipende comunque da che parte arrivi”. “Ma no, non fare via Roma, si fa prima da via Garibaldi… E’ Garibaldi, vero? Quello che fu ferito?”.

“No quello è Toti, Enrico Toti che ha la stampella”. “Ma che Toti! Totti! E’ Totti che si è fatto male alla gamba… due mesi di tribuna… l’ha detto il tg”. Per fortuna, nel frattempo, il ragazzo del bar ha capito da solo’ dove si svolge la segretissima riunione per decidere la guerra, ed è già arrivato di persona a prendere le ordinazioni. E quella che lo voleva decaffeinato adesso lo vuole normale con due di zucchero e quella che voleva il tè al limone adesso prende un cappuccino, con un terzo di caffè e due terzi di latte… e intanto nessuna soldatessa spara, non parte un colpo dai cannoni, i carri armati sono in garage… con le soldatesse ad agghindarli con l’arbre magique, un orsetto di peluche, un poster di un bell’attore. Intanto c’è chi passa l’aspirapolvere sui tappetini  del carro armato, perché nessuna donna sopporta la polvere, in un posto dove deve stare lei.  

E là… alla riunione, intanto, hanno deciso di non mettersi a discutere di guerra prima dell’arrivo del caffè. Il ragazzo ci mette almeno mezz’ora – un’altra mezz’ora sottratta al conflitto – e porta a tutte quanto richiesto, senza sbagliare niente. Ma come avrà fatto? Poi però salta su quella che dice: “Io avevo ordinato un decaffeinato freddo”, dimenticando di averlo chiesto caldo. E allora bisogna aspettare che il caffè della signora si raffreddi. 

Al momento di pagare, una ha solo un pezzo da cento euro, l’altra ha una manciata di monetine buone per l’elemosina in chiesa, l’altra viaggia solo con la carta di credito e si stupisce pure che il ragazzo del bar non sia arrivato fin quassù con il pos. 

E allora si comincia a fare i conti. Il caffè normale costa 90… dunque, tu  paghi 90, io pago 1,10.. e il tè? 2.50. Io questa storia dei 250 ml d’acqua  calda e della bustina di tè di di infima qualità a 2.50 devo ancora capirla. 

C’è quella che prende il telefonino nuovo, per fare vedere che ce l’ha nuovo, con la scusa che c’è la calcolatrice, che però non sa trovare tra le  app. “Eh… è tutto nuovo”, si giustifica. La speranza è che il ragazzo del bar dica: “Lasciate stare, offro io”. Ma se lo dice, è chiaramente un guerrafondaio. Ci tiene proprio che si spari. E’ un uomo, d’altronde. Adesso, ammettiamo che il ragazzo se ne sia andato, con i suoi soldi giusti, contati bene, pure gli spicci, pure la mancia… c’è sempre quella  che dice: “Ah, se avessi qualche anno in meno, io quello”. E un’altra più  spinta: “Ah, io me lo farei anche se avessi la tua età”. E c’è quella che dice che non è abbastanza alto, l’altra che dice che le misure non sono  importanti (non tutte, almeno). E poi decolla la discussione sugli occhi: “A  me piacciono azzurri”. “Guarda che li aveva castani”. “Castani? Noooo,  marroni”. “Ah, io in un uomo non guardo gli occhi, la prima cosa che  guardo sono le mani”. Certo: tutte le donne guardano le mani. Le mani. Le  donne di un uomo guardano le mani! 

E ci passa un’altra ora, mentre le soldatesse, prossime alla trincea, in attesa che si decida se si fa la guerra, quando e come, puliscono i fucili, con il Pronto per ghisa, e lo lucidano bene con il panno che non  perde i peli, perché non si può andare a fare la guerra con un fucile che ha la canna con sopra le ditate e pelucchi qua e là. E poi c’è chi legge le istruzioni del fucile in questione…. Scruta dentro la canna per vedere se si vede che c’è il colpo… Non c’è. Meno male. 

E altre soldatesse, sempre in attesa che le signore decidano, stanno lavando tutte le divise militari, con l’impeto di chi fa le pulizie di primavera. Le pulizie, si sa, le fanno sempre le donne. Gli uomini sporcano solo. E le signore discutono pure sul detersivo da usare. E c’è chi dice: “Questa divisa è piena di macchie”. “Non sono macchie di sporco. Non hai mai visto una divisa militare? Ha proprio le macchie lei, la divisa… si chiama mimetica”. “Si chiama mimetica così si mimetizza lo sporco”. “Eh, certo, vuoi mica andare in trincea con la divisa sporca? Che figura ci fai?”. “E’ vero, io per stare bene con me stessa ho comprato gli anfibi tacco 12”. E un’altra: “E comunque a me chiedetemi tutto, ma non di mettere l’elmetto, perché ho appena fatto la messa in piega”. 

E mentre le signore che devono decidere la guerra tirano fuori una carta geografica per capire dove attaccare e come, s’alza nella stanza segretissima il coretto, celebre sigla del telefilm: “Furia cavallo del west che beve solo caffè…”. Stupore generale. Sguardi interrogativi, interrotti dalla confessione della generalessa che sta lì perché esperta in tecnologia: “E’ la suoneria del mio cellulare: me l’ha messa mio nipote di tre anni e non so come si toglie”. L’unico modo per sopprimere Furia è rispondere al telefono. Di là c’è un’amica disperata perché lei e il  suo uomo si sono lasciati per la centroquattresima volta. Ah, già: la cartina  è sempre sul tavolo! Stesa bene, perfetta. E tutte le donne dalla stessa  parte a guardare e a non capire. “C’era un fiume qui, da queste parti,  dov’è andato a finire?”. Mentre la più brillante sta dicendo che “si sarà  prosciugato”, un’altra ha l’intuizione decisiva: “Ma non vedete che questa  cartina è girata al contrario?”. 

E allora, le signore generalesse, capitanesse e comandantesse, anziché rivoltare la cartina, si spostano tutte, all’unisono, dall’altra parte del tavolo. E qui comincia una lunga diatriba: “Si dice Afghànistan o Afghanistàn?”. “Afghànistan. Mica è un nome veneto”. “Che c’entra?”. “Non so, era tanto per dire”. 

Passa un’altra mezz’ora, mezz’ora di fucili fermi, di soldatesse che, intanto, dopo avere fatto il bucato e steso al sole le mimetiche, pensano di portarsi avanti col lavoro, sistemando i carri armati in posizione di partenza. È facile: basta tirarli fuori dai garage dov’erano stati ordinatamente parcheggiati. Prima cosa da fare: trovare le chiavi per mettere in moto il mezzo. “Le ho date a te”. “No, le hai tu”. “Guarda bene”. E così, dopo una ventina di minuti di lite, le soldatesse deputate alla conduzione rovistano nelle rispettive borsette tirando fuori, in ordine sparso: portafogli, portamonete, rossetto, occhiali da sole, lettore Mp3 utile nei momenti di stanca della guerra e per non sentire il fastidioso fragore delle bombe, cellulare, specchietto, spazzola per capelli, forbicine, mollettine, spille da balia, trousse per le unghie, assorbenti igienici, chiavi di casa, salviette umidificate, mascara, fondotinta, fazzolettini di carta, accendino, piccola torcia elettrica, un altro cellulare, sigarette, agendina telefonica. E finalmente, dai meandri di una borsa con griffe taroccata, salta fuori anche la chiave per avviare il motore dei carri armati. 

Carri armati che, cercano di spiegare le signore della guerra munite di cartina, dovrebbero difendere il confine a nord, in previsione di un attacco che il settimo battaglione granatieresse dovrebbe fare verso le undici del mattino, cioè dopo la lezione di yoga della comandantessa. “Uh lo yoga – commenta un’altra – Lo yoga no: troppo faticoso. Io ho bisogno di rilassarmi. Così ho fatto un abbonamento a 42 sedute di massaggi linfodrenanti: ne pago solo 40 e mi va via questa fastidiosissima  buccia d’arancia”. E un’altra ancora spiega che sarebbe pronta a ricorrere  al chirurgo plastico; c’è chi lo ha fatto e lo ammette, mostrando un labbro che sembra un canotto, e chi si dice scandalizzata perché preferisce avere una prima di reggiseno, ma almeno è tutta roba sua. Urge ricordare che tutto ciò avviene mentre si dovrebbe parlare di una cosa tutto sommato importante per il futuro di una fetta di umanità, cioè la guerra. “No, guarda… ne parliamo magari dopo. Adesso devo proprio andare in bagno”. E l’altra: “Vengo con te”, perché in bagno, si sa,  ci piace andare sempre in 2, non si sa mai, ci sentiamo più tranquille. La facciamo meglio. E passa un altro po’ di tempo: sono minuti regalati alla pace. 

Le comandantesse del battaglione, aspettando istruzioni, si dilettano col bridge, per darsi un tono. Le soldatesse, intanto, stanno sempre cercando di mettere il carro armato in posizione di partenza. E la prima cosa fa fare è uscire dal… oh no… Trrrrrrrrannnnn! Il muro del garage. Peccato. Una riga lungo tutta la fiancata, sopra il cingolo. Si sa, d’altronde, che la retromarcia per noi donne è sempre stata un problema. Sarà perché noi guardiamo sempre avanti, sempre dritto. E  meno 

male che non bisogna fare tante manovre per parcheggiare il carro armato una volta tirato fuori dal garage…. No… no… non è necessario, va bene così… basta… spegni sto motore… non continuare ad andare avanti e indietro con sta cosa… No… no… attent…. Ecco: lo sapevo. E’ anche sfortuna, però. Cioè, dico, proprio adesso che deve iniziare la guerra, passa il furgone del lattaio? Niente di grave: un piccolo incidente, può capitare. La soldatessa pilota, la prima cosa che fa è incolpare il lattaio. Poi dice che intanto lei conosce uno che fa il vigile. Il lattaio la tranquillizza, invitandola a fare la constatazione amichevole. Non c’è il cid sul carro armato. Per fortuna il lattaio ce l’ha. Ma la soldatessa non ha la minima idea di come si compili. Poi, come fosse a un quiz televisivo, fa l’unica cosa che le passa per la testa: chiedere l’aiuto a casa… se solo sapesse dove ha messo il telefonino. “Chiami pure col mio”, le dice il lattaio, come se la donna sapesse il numero a memoria… Con tutte le cose a cui ha da pensare una donna, non può permettersi di destinare un angolo di cervello per ricordare il numero di telefono di casa sua. 

La diplomazia mondiale, intanto, plaude a questa pace prolungata, che all’Onu credono sia dovuta ad importantissimi accordi bilaterali. E perfino il Papa spiega che questa miracolosa assenza di guerra, contrariamente al previsto, è dovuta al Dio benefattore, quando basterebbe attribuire il merito alle donne, ai loro vezzi, alle loro abitudini, a quelli che il mondo dei maschi considera i loro difetti. A proposito di Papa. E se si mettesse una donna a fare il Papa? Una donna, sì! Una donna che preghi, che vada in viaggio in giro per il mondo e che la domenica reciti l’Angelus in piazza San Pietro. Magari alle dieci o alle undici, però. Non a mezzogiorno. Perché la domenica a mezzogiorno la maggior parte delle donne sta preparando da mangiare per sé o per tutta la famiglia.

Ma forse desideri saperne di più?